Costellazioni familiari, narcisismo psicoterapeutico e dintorni

Costellazioni familiari, narcisismo psicoterapeutico e dintorni

di Clara Emanuela Curtotti

Di Aldo Carpi “La mia famiglia”

« Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero.>>
Dal discorso di scioglimento dell’Ordine della Stella, 3 agosto 1929, Ommen, Olanda
di Jiddu Krishnamurti

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Una necessaria premessa
Andando su wikipedia, alla voce costellazioni familiari di Bert Hellinger, si legge quanto segue:
<<Questa voce o sezione sull’argomento psicologia è ritenuta non neutrale. Motivo: presentazione enfatica e di parte di “tecnica” che non gode di alcun riconoscimento scientifico-accademico. Le costellazioni familiari e sistemiche sono una presunta forma di psicoterapia della quale non esistono prove scientifiche di efficacia e che sono spesso state avvicinate a modelli esplicativi di tipo pseudo-scientifico. La tecnica dichiara di basarsi su teorie e prassi psicologiche, a partire dalla psicoanalisi (Bert Hellinger, l’ideatore delle costellazioni familiari che è stato sacerdote prima che psicoanalista), riprendendo poi molti aspetti dalla psicoterapia della Gestalt, dalla psicoterapia sistemico familiare, dall’ipnosi eriksoniana, e dallo psicodramma di Moreno. Bert Hellinger a partire dal 1980 espose le basi delle sue linee teoretiche e metodologiche in merito alle costellazioni familiari e sistemiche. Poco dopo, in Francia Anne Schützenberger mise a punto una tecnica che si potrebbe definire sorella delle costellazioni familiari, chiamata “Sindrome degli Antenati”. Qualche anno più tardi nel ‘90, due sorelle psicoterapeute del Mental Research Institute di Palo Alto, Doris e Lise Langlois, misero a punto un’altra tecnica simile, dandole il nome di “psicogenealogia”. Secondo Hellinger e i suoi sostenitori gli elementi teoretici che sono alla base della terapia sarebbero ripresi da numerose concezioni e pratiche sviluppate nell’ambito della psicologia e della psicoanalisi, ma anche di altre definite come pseudo-scientifiche. Hellinger ritiene che la vita di ognuno sarebbe condizionata da destini e sentimenti che non sarebbero veramente propri e personali; anche malattie gravi, il desiderio di morte e problemi sul lavoro potrebbero essere dovuti, secondo questa sua teoria, a “irretimenti” del sistema-famiglia e, a suo dire, potrebbero essere portati alla luce attraverso il processo delle cosiddette “costellazioni familiari”. Queste sono costituite da una “messa in scena”, riprodotta da “rappresentanti”, che in modo intuitivo ricreerebbero le inter-dipendenze esistenti tra i componenti di una famiglia o di un gruppo, permettendo in tal modo di evidenziare le dinamiche inconsce che produrrebbero sofferenza in molti aspetti della vita (relazioni affettive, relazioni professionali, rapporto con il denaro e con la salute). Ciò che accade durante una rappresentazione familiare è stato ipoteticamente spiegato anche tramite approcci pseudoscientifici, rifacendosi a spiegazioni prive di basi scientifiche riconosciute: la teoria dei campi morfogenetici di Rupert Sheldrake, le dichiarazioni di Masaru Emot sulla presunta “memoria delle acque”, i diversi stati di coscienza cui fa riferimento l’ipnosi eriksoniana, e varie altre teorizzazioni “new-age”. Si conclude così: non risultano esistere prove cliniche di efficacia o di sicurezza del metodo che siano state pubblicate nella letteratura scientifica internazionale peer-reviewed.>>.

Aggiungo solo per completetezza d’informazione che, per poter esercitare la professione di costellatore familiare, non è automatico o obbligatorio avere la laurea in psicologia o la specializzazione in psicoterapia.
Fin qui la premessa.
Mi piacerebbe ora, però, raccontarvi la mia personale esperienza, vissuta un anno fa, quando mi feci convincere da un parente piuttosto stretto a partecipare ad una di queste costellazioni familiari, condotta da uno stretto collaboratore di Bert Hellinger. Accettai per almeno due ragioni di cui ero sufficientemente consapevole un quel momento: condividere tale esperienza con il parente stretto di cui sopra, a cui volevo molto bene ed un’innata curiosità per i territori limitrofi a quello della psicoterapia ufficialmente riconosciuta.
Com’è andata? Un’esperienza intensa, dai toni assolutamente archetipici. I partecipanti, provenienti da differenti esperienze di vita, non si trovavano ovviamente lì per caso, tutti con un’aspettativa: la segreta speranza di sbloccare, in un week end, questioni ancestrali e profonde. Tanto dolore, dunque, da un lato e dall’altro l’aspettativa di una catarsi non solo individuale ma trans-generazionale e collettiva. La conduzione si rivelò essere assolutamente direttiva, talora fortemente interpretante, corredata di affermazioni quasi assiomatiche ma in taluni casi, lo ammetto, genialmente intuitiva e sempre in generale molto affettiva ed empatica.
Si respirava un clima intenso ed emotivo: tutti entrammo in una specie di bolla…
Ci furono anche momenti commoventi ed osservando la conduzione, pur avendo uno spirito in parte critico, non potetti fare a meno di pensare: <<Vedi se una cosa così l’avessi detta a questo o quel paziente, senza tanti preamboli, cosa sarebbe successo?! Avrei  risparmiato tempo? E poi è giusto indurre qualcuno a ricordare forzatamente talune cose o forse è più corretto deontologicamente aspettare e con rispetto, che si arrivi spontaneamente a certe consapevolezze ed insight?>>.
Certamente un week end non ordinario.
Conclusasi l’esperienza e salutato il caro parente, di rientro a Roma, già durante il viaggio in treno, il flusso dei miei pensieri cominciò a girare vorticosamente intorno ad alcune questioni che mi assillavano e che infine, all’arrivo, presero concretezza nella forma di alcune domande:
<<La psicoterapia può dire oggi di avere una maggiore credibilità scientifica di quella dei primordi?!>>
<<Come mai tantissime forme di psicoterapie definite “pseudo-scientifiche” sembrerebbero riscuotere un credito importante oltre che un successo di mercato?>>
<<La gente cerca soluzioni miracolistiche ai suoi disagi e per giunta a buon mercato?>>
<<E tutti i counselor, coach, consulenti filosofici e chi più ne ha più ne metta, che spuntano come funghi, che cosa fanno per le persone che la psicoterapia ufficiale riconosciuta, non riesce o non vuole fare!?>>.
Ero consapevole di quanti miei colleghi si scagliassero contro tali realtà e figure psudo-professionali con spirito spesso risentito ed imbarazzante orgoglio narcisistico legato all’esercizio della propria professione. Il motore poi di molte polemiche sembrava avere a che fare con l’invidia primaria di kleiniana memoria. Tuttavia, una vocina interna alla mia coscienza mi andava dicendo: <<Nella vita ci vuole un po’ di umiltà se si vuole comprendere, crescere e capire quanto ci succede intorno!>>. Certo la pedissequa ed acritica adesione ad ogni forma di cura non mi sembrava la soluzione del problema e la costante ricerca scientifica poteva essere forse, solo in parte, un antidoto efficace per rispondere alle domande di cui sopra.
D’altra parte la faccenda mi appariva vecchia come il cucco e risaliva nientemeno che a Freud ed alla sua convinzione che la psicoanalisi fosse un trattamento razionale e scientifico ed in quanto tale basato sulla applicazione di teorie nate dalla clinica. La presenza di un’esplicitata teoria del funzionamento mentale, normale e patologico, e della tecnica usata per modificarlo erano dunque sufficienti per il padre della psicoanalisi per garantirne la scientificità. Coerentemente solo l’analista e, per suo tramite, il paziente, erano in grado di valutare l’efficacia di un percorso terapeutico. Troppo comodo!
Dopo Freud poi erano avvenuti molti cambiamenti e contemporaneamente le psicoterapie, nel loro insieme, fino ad oggi hanno avuto una grande diffusione anche accompagnata da un parallelo aumento delle conoscenze e della ricerche di validazione scientifica su di esse. Il sito dell’ American Psychological Association (APA), per esempio, dà molto spazio all’approccio di ricerca evidence-based. Anche lì tuttavia sono state mosse numerose critiche e riserve da più parti avanzate nei riguardi della presunta efficacia delle terapie evidence–based. Sotto tale riguardo mi sembra doveroso citare il poderoso volume “Psicoterapie e prove di efficacia” di A. Roth e P. Fonagy, uscito oramai alcuni anni
addietro, un libro scritto da psicoterapeuti che conoscono i principi del metodo scientifico e che filtrano attraverso questo metodo i risultati degli studi e delle osservazioni che presentano. Un libro eccezionale per la ricchezza della documentazione sulle valutazioni di efficacia delle psicoterapie. Il quadro che ne emergeva era sicuramente complesso ma in ogni caso la ricerca metteva in luce l’importanza decisiva della personalità del terapeuta, della sua esperienza professionale e della sua formazione, che sembrano avere un’influenza determinante nel processo terapeutico e nel raggiungimento di risultati positivi.
A prescindere da questo, però, il disagio, in particolare per un professionista che come chi scrive è una terapeuta, resta spesso legato alla difficoltà di dare una risposta chiara ed esaustiva che sostenga l’efficacia delle psicoterapia, indipendentemente dal confronto con altre forme di cura sia pure non ufficialmente riconosciute dalla comunità scientifica.
Tutto ciò andavo pensando con un’ultima imbarazzante domanda:
<<Quale domanda la psicoterapia lascia indifferentemente cadere nel vuoto e quali bisogni arrogantemente ignora? Bisogni poi spesso raccolti da altri settori delle umane esperienze, sia pure con alterne vicende.>>.

 

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